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1 marzo 2010

Simone Keremidtschiev

_biografia
_contatto

"Ma quali criminali, quali clandestini, ecco i nuovi cittadini!". Questo lo slogan ricorrente nei cortei che il primo Marzo 2010 si sono svolti a Milano, collegati allo "Sciopero giallo - una giornata senza di noi". Un'iniziativa nata in Francia grazie a Nadia Lamarkbi, giornalista di origine marocchina, e arrivata in Italia grazie al comitato "Primo marzo 2010" (www.primomarzo2010.it), tutt'oggi attivo sui temi legati all'immigrazione. Il presidio della mattina in piazza della Scala, l'assembramento del pomeriggio in piazza Duomo e i cortei che ne sono seguiti sono stati un esempio di manifestazioni civili e pacifiche che le piazze italiane da tempo avevano dimenticato, se paragonate ai nostri 25 aprile, 12 dicembre e manifestazioni studentesche spesso ricche solo di fischi, scritte sui muri, fumogeni e scontri con le forze dell'ordine. Al contrario, le strade si sono pacificamente riempite di stranieri di varie etnie, italiani, lavoratori, persone in cerca di lavoro, tanti giovani e famiglie con bambini. I media ci hanno abituato a vedere i migranti (o "extracomunitari" come solitamente vengono definiti) muoversi assieme in rivolta, costretti per esasperazione a prendere vie, piazze, aranceti quando la misura è colma, per poi dimenticarsi di loro quando pacificamente tentano di farsi conoscere, cercano un lavoro oppure si spezzano la schiena facendo, malpagati, lavori che nessun italiano vuole fare più. I cortei si sono svolti invece in un'atmosfera di grande euforia e speranza e gli immigrati che partecipavano accanto agli italiani sembravano quasi increduli che Milano potesse essere anche questo. In molti avevano voglia di parlare, testimoniare, mostrare i loro permessi di soggiorno, le loro "ricevute delle poste", pezzettini di carta che evitano l'espulsione in attesa che l'amministrazione - con calma - si degni di riconoscere loro qualche diritto. Tante storie, tante voci, tante lingue, tante immagini che, nonostante i molti colori, ho voluto "appuntarmi" in bianco e nero, forse per ricordare che l'uno non può esistere senza l'altro. A fine giornata, la sensazione non era quella di avere terminato qualcosa, ma di averla iniziata.

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