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Workaholics

Francesco Nencini

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Quello che è certo è che i milanesi passano più tempo al lavoro che altrove, abitano più i loro uffici che le loro dimore. Chissà se lo fanno per necessità, per assuefazione, per senso del dovere o perché il lavoro è il loro personale rifugio da una realtà che poco li appaga. Chissà se a casa c’è qualcuno che li aspetta per cena e se chiusi nei cassetti di quelle scrivanie ci sono sogni nascosti, mescolati alle carte.

I Workaholics sono dei veri e propri Cavalieri del Lavoro disposti a rinunciare al loro tempo libero e alle loro distrazioni sempre e comunque. La loro linfa vitale si sviluppa da seduti, di fronte a quel monitor che li risucchia magneticamente, tra quei fogli accumulati sulla scrivania. Sembra che il loro solo obiettivo sia produrre, produrre, produrre. Finché recessione non li separi.

A Milano i Workaholics ci sono nati o invece ci sono arrivati in pellegrinaggio, convinti che la “Cattedrale del Lavoro” avesse qualcosa da offrire loro. Sono diventati fedeli alla cultura calvinista della città, che si è impossessata delle loro emozioni e della loro anima, annichilendoli fino all’abbruttimento.

Per vederli, quando la luce del giorno cala, basta camminare per la città e gettare lo sguardo oltre le finestre dei palazzi in vetro. Faccia a faccia, ci renderemo conto che, tutto sommato, anche noi siamo come loro e consumiamo gran parte della nostra quotidianità di fronte al monitor di questo computer da cui io vi sto scrivendo e attraverso il quale mi state guardando.

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