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Giampietro Agostini

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In un punto della nostra storia contemporanea gli uomini hanno iniziato a mettere in mostra se stessi, i loro volti, i loro corpi, in modo sempre crescente e coatto, sia direttamente, sia attraverso l'esibizione della loro immagine. Man mano che nella società del capitalismo maturo e liberista, quella che viene definita postmoderna, ma anche ipermoderna, i segni di "status" tradizionali hanno perso significato fino a venir meno, il corpo in sé è diventato uno strumento di comunicazione attraverso il quale tentare di imporre la propria identità sessuale e sociale. Per questo il manifesto pubblicitario, insieme al suo fratello gemello - il manifesto politico -, si sono rivelati dei medium molto persistenti, seppure certamente non nuovi, e ideali per lo scenario urbano, luogo principe di quel processo di vetrinizzazione (come direbbe Vanni Codeluppi) nel quale ci troviamo immersi. Politica e pubblicità si danno la mano: gli stessi volti, gli stessi occhi ammiccanti, gli stessi sorrisi, la stessa pelle. Più mutevole la pubblicità, che con facilità lancia nella città non solo volti ma anche corpi discinti, che scoppiano di una stereotipata salute, e pose dell'intimità violentemente rese pubbliche; più rigida, per ora, la politica, che rimane ancorata al volto, presentato come maschera dell'ottimismo e della serenità; ma anche il circo, il cinema, l'arte ricorrono al manifesto per cercare di parlare alle moltitudini in continuo movimento negli spazi urbani.

Giampietro Agostini da alcuni anni fotografa manifesti e ha ormai creato una grande raccolta di corpi e volti provenienti da questi diversi mondi, apparentemente lontani e invece vicini. Li mescola tra loro in quanto essi sono sempre e comunque presenze messe in scena nella città-palcoscenico, presenze finalizzate allo scambio delle merci e alla spettacolarizzazione degli affetti, delle idee, della sessualità, del tempo libero, delle scelte politiche. Qua e là, nel racconto, la forma di un billboard vuoto, rettangolo muto che si mette in evidenza nel tessuto urbano, in attesa di altre figure ancora, che si tratti di un uomo politico, di un attore, di una modella, di uno sportivo, pronti, anzi costretti, a diventare pubblici, inesistenti se pubblici non diventano.

(testo di Roberta Valtorta, Direttore Scientifico della Fondazione Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo)

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